L’incontro dell’altro
«Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda» (Papa Francesco, Meditazione durante la pandemia, 27 marzo 2020).
Time out of mind. Time of individualism
Nell’ottobre del 2015, Richard Gere era andato undercover per le strade di New York durante le riprese del film Time out of mind. È la storia di un senzatetto che cerca di riprendere i rapporti con una figlia che non vede da tempo. È stato lo stesso attore a rivelare la sua “disavventura”: «Ho capito allora cosa significhi essere un senzatetto. La gente mi passava accanto dandomi un’occhiataccia. Solo una donna è stata gentile e mi ha portato qualcosa da mangiare. È stata un’esperienza che non scorderò mai», ha spiegato Gere. La sua esperienza dimostra che l’indifferenza non guarda in faccia a nessuno. È l’indifferenza all’altro che rende l’altro nessuno. La mancanza di uno sguardo familiare rende nomadi. Isola.
Siamo immersi in una vita che pretende tanto: impegni, formazione, lavoro, momenti social. Siamo sempre con qualcuno, riempiti da presenze online o live. Diventa difficile avere un tempo per guardare l’Altro. Alzare lo sguardo richiede uno sforzo di volontà che bisogna desiderare veramente. Facciamo fatica a guardare e ad ascoltare. Siamo altrove o siamo connessi. Questo non è un male in assoluto, ma quando diventa l’assoluto, allora si trasforma in male. Ed è un male quando degenera nell’individualismo che «sfocia inevitabilmente nella disgregazione della società: se ognuno si pone egoisticamente come un individuo separato dagli altri e che non cerca altro che approfittarsi degli altri, allora la società si disgrega» (Fabrice Hadjadj).
Alternativa all’individualismo
Secondo i principi dell’economia classica un bene ha due valori: d’uso (soddisfa dei bisogni), di scambio (procura altri beni). Il dono aggiunge un terzo valore, il valore di legame: un bene donato crea legami nuovi, oltre a rafforzare quelli esistenti.
In una coppia o tra amici il donare è una variabile continua, costante e necessaria: quando si smette di donare, una relazione si impoverisce. In queste circostanze donare è una naturale conseguenza dei sentimenti che nutriamo verso le persone che amiamo. L’esperienza che abbiamo del dono è quasi sempre data all’interno delle nostre relazioni affettive, in famiglia, con i nostri amici o con i nostri insegnanti. Imparare a donare a chi non può ricambiare, perché magari non ha mezzi o perché non sussiste una reciprocità affettiva, è l’orizzonte della gratuità. Nel corso della vita ordinaria le opportunità per maturare l’esperienza del dono gratuito sono rare.
La nostra convinzione è che l’esercizio del dono gratuito sia fondamentale non solo nella vita
personale, sociale e familiare ma anche nell’ambito professionale. Sono tante le occasioni, per esempio, per un manager di dedicare il proprio tempo ad ascoltare i propri collaboratori anche su tematiche non strettamente inerenti al business. Questo lo farà solo se ha imparato il valore della gratuità.
La risposta che possiamo dare è la strada verso l’Altro. Dovremmo riflettere sul valore dell’altruismo e parlare di coraggio, di generosità, di condivisione e di cura dell’Altro. Noi dell’IPE Business School, proprio perché crediamo nell’eccellenza, abbiamo molto a cuore la formazione della persona a 360 gradi e crediamo molto nell’attenzione all’Altro. Educare, per noi dell’IPE, significa coltivare noi stessi nelle relazioni per dare una forma migliore al nostro essere in famiglia, nel lavoro e nella vita sociale. Per questo promuoviamo ogni anno un’attività di volontariato che vede protagonisti quasi tutti i nostri alunni.
Professionisti di domani
Il volontariato è la realtà della cura. Una vita buona non può tralasciare la premura verso il prossimo, la sollecitudine al benessere dell’Altro, l’impegno a far fiorire le sue possibilità. «L’attenzione è un gesto cognitivo primario. E quando è appassionata, concentrata sull’altro niente la può smuovere. Diventa anche un gesto etico. Tenere l’altro nel proprio sguardo è il primo gesto di cura» (Luigina Mortari, Filosofia della cura, Raffaello Cortina, 2015).
Ecco la testimonianza di Francesco: «La sensazione di essere utili a qualcuno, facendo qualcosa di concreto per chi ne ha davvero bisogno e sacrificare una piccola parte del nostro tempo è un qualcosa che ti arricchisce incredibilmente e che l’IPE ci ha permesso di sperimentare nella sua formazione a 360°, puntando a formare anche persone oltre che professionisti, persone consapevoli del valore della componente umana e delle relazioni sociali».
Anche nell’ultimo anno, nonostante la pandemia, l’IPE ha promosso un progetto dal nome: “Volontariato – Io ci sono” in collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio, la Fondazione Grimaldi, la Ronda del Cuore e le Pezze di Gin. Gli studenti hanno partecipato alle ronde per consegnare pasti ai senza fissa dimora, ad attività di doposcuola e ricreativi per ragazzi, hanno preparato pacchi di alimenti per famiglie in difficoltà e raccolto e. venduto abiti usati con il progetto “PezzediGi” a sostegno delle famiglie povere.
Nel volontariato si impara a indossare scarpe diverse, a guardare il mondo da una prospettiva nuova, e ad ascoltare storie molto lontane dalle favole che conosciamo. Il volontariato non è solo fare qualcosa, ma è immergersi nella vita di qualcun altro, completamente! È rompere il circuito dell’indifferenza. È comprendere quanto sia importante tenere l’altro nel proprio sguardo come primo gesto di cura. Il desiderio dell’essere curati appartiene alla persona. Sviluppare la sensibilità alla cura dell’Altro, maturando una sana abitudine all’attenzione, diventa una skill essenziale e qualificante nella vita professionale, familiare e sociale.
di Mariajosé Vecchione